La strada senza uscita di Roadblock, il noir incolore di Harold Daniels

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Nel 1951 Harold Daniels, che negli anni seguenti si dedicherà soprattutto a film d’avventura e horror, firma una delle sue poche incursioni nel crime movie dirigendo per la RKO Roadblock, un piccolo noir che riprende gli stessi spunti tematici di La fiamma del peccato, con tutte le dovute differenze del caso (il noir di Billy Wilder resta un capolavoro irraggiungibile, ça va sans dire). Daniels si ritrova tra le mani una storia molto simile, per intreccio e personaggi: c’è il protagonista maschile Joe Peters (Charles McGraw), detective assicurativo risoluto e ligio al dovere, catturato dall’orbita della bella Diane (Joan Dixon), avvenente e capricciosa, con una passione per le pellicce e la vita agiata. Recuperare un’ingente somma di denaro per soddisfare i desideri della donna diventa la priorità di Joe, determinato a fare di tutto pur di averla fra le sue braccia, un desiderio che lo spinge a commettere un crimine rinnegando un’ostentata onestà (“non mi piacciono gli imbroglioni”). Prevedibilmente, questa strada si rivela una via senza uscita che lo condurrà verso un destino tragico.

Nonostante un incipit accattivante, dove Joe e il collega Harry fingono un omicidio per smascherare una truffa, Roadblock è un film che non va al di là dei suoi territori da B movie, appiattendosi su uno svolgimento narrativo troppo meccanico e una sceneggiatura piatta e poco incisiva, se non in qualche dialogo a effetto, come quell’ammonimento che Diane lancia a Joe durante una notte in hotel: “Un giorno potresti desiderare qualcosa che non potrai permetterti, una come me per esempio”. Manca un evidente conflitto interiore del protagonista, che in maniera troppo repentina si dà al crimine con una rapina a un treno, per quanto in preda all’amour fou; come manca anche la costruzione del senso di sospetto nel personaggio di Harry, unico che riesce a intuire la colpevolezza di Joe arrivandoci alla fine con motivazioni sbrigative e inverosimili.

Ma forse l’aspetto più deludente non può che essere la promessa disattesa della femme fatale Diane, affascinante al punto giusto, con un viso che ricorda quello di Gene Tierney, ma incapace di essere spietata calcolatrice fino in fondo, trasformandosi a metà film in fidanzata modello e contraddicendo la personalità mostrata fino a quel momento. La fotografia del maestro del chiaroscuro Nicholas Musuraca, che qui non brilla particolarmente, non riesce a dare un tocco interessante a questo noir debole e poco memorabile, in cui neppure il cast riesce a distinguersi (Charles McGraw ha fatto di meglio in altre circostanze, come in T-Men contro i fuorilegge).
Il finale si rivela l’unico momento davvero emozionante, con un inseguimento serrato nel Los Angeles River, mitica location che negli anni a venire sarebbe apparsa in molti film d’azione, da Senza un attimo di tregua a Vivere e morire a Los Angeles, fino a Terminator 2.

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