Guilty bystander, un antieroe nei bassifondi metropolitani

Un nuovissimo restauro, realizzato a partire dall’unica copia in 35mm esistente conservata negli archivi del BFI, ha riportato alla luce questo semisconosciuto noir del 1950, di cui in Italia si sa pochissimo, nonostante la recente operazione di rispolvero digitale rechi anche la firma della bolognese L’immagine ritrovata, oltre che quella di Nicolas Winding Refn, produttore del restauro attraverso il suo progetto byNWR.

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Guilty bystander, reso disponibile da noi in esclusiva dalla piattaforma Mubi, è tratto dall’omonimo romanzo del 1947 di Wade Miller, in Italia pubblicato con il titolo Quattro giorni di guai, ed è il racconto di un caso di bambino scomparso, inghiottito dalle spire di intrighi criminali striscianti fra le ombre metropolitane di New York. Sulle sue tracce, il padre Max Thursday, ex poliziotto, alcolizzato, responsabile della sicurezza di uno squallido alberghetto: la ricerca lo conduce negli anfratti sordidi della città, dove incrocia trafficanti di diamanti, loschi dottori, gente di malaffare e relativi scagnozzi. Una trama contorta che, soprattutto alla luce del plot twist finale, non sta molto in piedi, ma per un film del filone noir potremmo anche dire che si tratta di dettagli trascurabili.

Diretto dal poco noto Joseph Lerner, che l’anno prima aveva già esordito nel noir con La stirpe di Caino (C-Man), Guilty bystander inserisce il suo protagonista in una perfetta ottica antieroica, disegnando sin da subito un’atmosfera di degrado: quando nei primi minuti seguiamo l’ex moglie Georgia recarsi da Max per avvisarlo della sparizione del figlio, quello che vediamo è un uomo corrotto dall’alcol (anche il suo cognome Thursday richiama l’aggettivo thirsty, assetato), a fatica si regge in piedi e riesce a conversare con la donna, e non metterà da parte questa sua dipendenza neppure durante la ricerca del bambino, nonostante tenti in qualche modo di redimersi. Lo sguardo distorto e intossicato dai fumi dell’alcol dà però un tono accattivante alla narrazione, su cui influisce la fotografia di Russell Harlan (Un dollaro d’onore, La cosa da un altro mondo, Il buio oltre la siepe) che sa dosare oscurità e luce negli ambienti, enfatizzando il senso generale di squallore dei bassifondi di New York.

Guilty bystander non è un noir memorabile, e non lo è neppure la performance di Zachary Scott, che con il suo bel faccino, e una recitazione dall’intensità forzata, non si dimostra all’altezza di tratteggiare un personaggio desolato e alcolizzato come Max (più riusciti altri suoi ruoli ambigui, come Monte Beragon in Il romanzo di Mildred); il film però si fa ricordare per alcuni elementi interessanti, oltre alla fotografia, come il sadismo particolarmente duro di alcune scene, l’uso degli esterni reali di New York e dei set (gli ascensori che appaiono come celle, per esempio, enfatizzando il tono angoscioso) e in particolare per la sequenza all’interno della metropolitana, un inseguimento che porta Max nelle viscere della metropoli dove il treno sfreccia a pochi centimetri dal suo volto.

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