Shock, tra sogno e veglia nel noir di Alfred Werker

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Dopo un incipit alquanto improbabile (una donna ritrova il marito creduto morto in guerra e gli dà appuntamento in hotel), il B-movie di Alfred Werker Shock mette subito in chiaro la questione dello sguardo, quello casuale ma anche innocentemente voyeuristico, che trasforma un omicidio in uno spettacolo notturno messo in scena e ripreso dal regista in chiave metatestuale, come fosse un film proiettato sul grande schermo di una sala buia. Così che il nostro punto di vista arriva a coincidere, anche a livello di costruzione dell’inquadratura, con quello dell’osservatrice, la giovane Janet Stewart, testimone involontaria di un delitto che le provoca un trauma talmente profondo da spedirla in stato catatonico.

Dopo un successo iniziale al di sopra delle aspettative, Shock è riuscito nel tempo a diventare un piccolo cult, un noir articolato in particolare sul tema della psichiatria che si fa strumento del male e dell’immoralità. La trama del film parte dalla già citata Janet, ingenua biondina che trascorre la notte in un hotel di San Francisco per riuscire a reincontrare suo marito Paul, un militare che si pensava fosse deceduto. Un’attesa inquieta che alla ragazza procura incubi e una notte insonne, fino a quando assiste dal balcone a un omicidio commesso nella stanza di fronte da un uomo, che colpisce la moglie con un candelabro. Janet viene trovata da Paul sotto shock, e ricoverata nella clinica del dottor Richard Cross. Lo psichiatra, autore dell’omicidio, prolungherà lo stato di shock di Janet con la complicità dell’infermiera e amante Elaine, fino a progettarne la morte.

Abbiamo quindi due condizioni di sospensione: quella di Janet,  tra sogno e veglia, allucinazione e percezione concreta, imprigionata in uno stato di pazzia indotta; e quella del dottor Cross, uomo sul crinale tra bene e male, etica professionale e interessi personali, soggiogato dall’influenza dell’amante senza scrupoli. E’ proprio la donna a tirare le fila di tutto, a spingere Cross a compiere le azioni più abiette, vera e propria femme fatale pronta a tutto pur di eliminare ogni ostacolo lungo la sua strada veso la serenità. Una strada che, come sempre accade nei film noir per chi sbaglia, non vedrà un orizzonte radioso. Molto efficace, a proposito della cattiva influenza, è una scena in cui la donna siede alle spalle di Cross, consigliandogli di fare del male all’indifesa nel letto della clinica, quasi sussurrando come la voce di una coscienza perversa, mentre il bagliore del caminetto lascia nell’ombra i suoi contorni femminili rendendola una presenza diabolica.

Se con lo psichiatra, interpretato da un ottimo Vincent Price, assistiamo a una lotta interiore e ad un continuo oltrepassare il confine tra giusto e sbagliato, con tutte le strategie tipiche del criminale che cancella ogni traccia dietro di sé, col personaggio della povera Janet il regista Alfred Werker sviluppa i temi legati all’onirismo e alla follia, alla visione e alla distorsione del reale, ricreando in più occasioni il clima da incubo vissuto solitamente dai personaggi intrappolati, vittime di perfidi piani e messi con le spalle al muro. E’ così a pochi minuti dall’inizio, quando la ragazza in balia dell’ansia sogna il marito bussare alla sua stanza, ma la porta si allontana gradualmente, irraggiungibile, e poi enorme quando riesce a raggiungerla, per poi scoprire che il pianerottolo è vuoto mentre le pareti continuano a deformarsi. Meno surreale ma altrettanto suggestiva è una sequenza notturna nella clinica: i tuoni di un forte temporale agitano uno dei pazienti più squilibrati, che incomincia a vagare nei corridoi silenziosi e semi bui, dalle geometrie simmetriche, fino a intrufolarsi nella stanza di Janet, dove si scaglia contro gli infermieri e la poveretta assiste per la seconda volta a un’aggressione. Qui lo shock si ripete, l’oscurità della stanza e l’improvvisa apparizione nel mezzo del sonno fanno sì che il trauma ancora una volta si manifesti in un clima di allucinazione onirica.
Il film si inserisce quindi a pieno titolo in quel filone noir che mette al centro la questione della visione e di una percezione soggettiva, nonostante il tema resti secondario, ma comunque inserito in un’atmosfera che enfatizza gli aspetti dell’incubo.

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