Oscilla tra il thriller e l’horror macabro questo film di Robert Day del 1958, un po’ debole nel complesso per via di un soggetto fin troppo derivativo, ma capace in ogni caso di regalarci qualche brivido grazie soprattutto alla presenza scenica di Boris Karloff, qui in doppia veste (se ancora non avete visto il film, occhio che vado di spoiler).
Lo Strangolatore Folle (The haunted strangler) rispolvera il tema della doppia personalità rileggendo la storia di Jekyll e Hyde, con la differenza che la scissione nel proprio doppio malvagio non è innescata da un esperimento al limite della scienza, ma diventa effetto di una patologia mentale: è la vista di un bisturi a causare nel protagonista una mutazione (anche qui sia mentale che fisica), il passaggio da una personalità mite e sensibile al corrispettivo oscuro e incline all’omicidio, simile all’effetto che il plenilunio provoca al licantropo tramutandolo in un mostro.
Siamo nella Londra di fine Ottocento, e lo scrittore James Rankin (Karloff) indaga sull’esecuzione di Edward Styles avvenuta vent’anni prima, accusato dell’omicidio di cinque giovani fanciulle. E’ determinato a dimostrarne l’innocenza, e per farlo intende rintracciare il dottor Tanner, esecutore dell’autopsia e forse il vero killer. L’indagine lo porta però, suo malgrado, a scoprire che non sta facendo altro che rincorrere se stesso.
Lo Strangolatore Folle, che prende il via come critica al sistema giudiziario dell’epoca per poi deviare verso il thriller, avanza per contrapposizioni di ambienti e situazioni, a richiamare la doppiezza inconsapevole di Rankin; si evidenzia in particolare il contrasto tra la realtà familiare dello scrittore (la moglie premurosa, la figlia innamorata) e il clima libertino del Juda’s Hole, il locale notturno teatro degli omicidi, ma anche luogo dell’erotismo dove si esibiscono le ballerine di can can. Al pari del Mr. Hyde di Stevenson, infatti, anche qui il doppio del protagonista simboleggia – pazzia a parte – i pensieri più oscuri, nonché una sessualità repressa che deflagra nella violenza estrema verso l’oggetto del desiderio (le vittime sono soltanto giovani donne). Non a caso a scatenare la follia omicida di Rankin è un bisturi piuttosto grande, chiaramente fallico, usato come pugnale per penetrare le vittime.
Alcuni snodi narrativi mi sono sembrati un po’ forzati, come pure le scene macabre, quasi fossero una condizione irrinunciabile quando si porta Karloff sullo schermo. L’attore è l’elemento portante del film, e dà un’ottima prova di sé risultando a proprio agio nell’interpretare un assassino disturbato, ma curiosamente più convincente nel ruolo di raffinato scrittore che in quello sopra le righe di squilibrato (al limite del sorriso alcuni momenti).
Non un film memorabile, ma un’occhiata può valerne la pena.